Filippo Faes

Elezioni CNAM 2021 – Collegio XVI

Prof. Filippo Faes

Premessa 

Il Cnam si appresta ad essere rinnovato ora, dopo che, dal 2013, non si era più riunito. Negli ultimi otto anni, la sua assenza ha ovviamente generato un vuoto; è stato inevitabile tuttavia, che il ruolo consultivo e tecnico che gli spettava sia stato in qualche modo -certo molto parzialmente- riempito da altre componenti non elettive del sistema dell’Alta Formazione, vista la necessità di far procedere comunque l’ordinaria amministrazione.

Ciò comporterà necessariamente che, nel riprendere il lavoro interrotto e tornando ad essere componente vitale del “sistema” il  Cnam dovrà anche riaffermare i proprî compiti, ritagliarsi uno spazio ben definito nel necessario processo di completamento della Riforma, e attestare la sua autorevolezza nel ricoprire il suo fondamentale ruolo di rappresentanza delle nostre Istituzioni in questo processo.  

Per questo motivo ritengo prematura la proposta di un “programma elettorale” a punti e definito nei dettagli: semplicemente perché penso che saranno le istanze che si presenteranno man mano nel corso delle riunioni a richiedere un continuo adattamento di strategia, a definire e accreditare il ruolo del Cnam nei confronti dell’interlocutore ministeriale cui poi spetterà il compito legislativo. Occorrerà da parte nostra molto buon senso, flessibilità, realismo e consapevolezza della situazione attuale; ma soprattutto occorrerà una visione chiara del futuro a cui vogliamo tendere. 

Riguardo a tale visione, accenno qui sotto ad alcuni punti che mi paiono importanti. 

 

Le ragioni della mia candidatura 

Ho insegnato per quasi trent’anni musica da camera, una disciplina attraverso la cui pratica passano tutti i futuri interpreti ed esecutori (oltre ai compositori: nel corso degli anni ho attuato una fertile collaborazione con le classi di composizione, cosicché, spesso, lavori scritti dei nostri studenti sono stati studiati nella mia classe, ivi discussi tra compositori e interpreti, ed eseguiti in concerto). 

Ho inoltre sempre fatto parte del Consiglio accademico (con le dovute interruzioni, a causa del limite di due mandati consecutivi) e sono stato vicedirettore del conservatorio di Castelfranco Veneto per un anno, proprio nel momento cruciale in cui si iniziava a definire l’iter della Riforma (2001/2002).

Ritengo che un’esperienza del genere dia il polso, in maniera realistica e concreta, delle esigenze degli studenti, soprattutto nella delicata fase che intercorre tra i cicli di studio e l’inserimento nel mondo del lavoro, e della reale efficacia dei nostri corsi di studî nel formare i professionisti della musica del domani. 

La mia esperienza didattica -oltre che, ovviamente, concertistica- europea ed extraeuropea mi ha fatto riflettere spesso sulle ragioni storiche e contingenti di quel gap che ancora esiste e rallenta una completa assimilazione dei nostri conservatorî alle Hochschule, università e accademie negli altri Paesi, con le quali dovremmo invece rapportarci alla pari, e che non dovrebbero sopravanzarci, come invece spesso succede, nelle preferenze espresse dai migliori studenti che decidono di trasferirsi in Europa per prepararsi alla carriera di futuri musicisti.

Credo inoltre nel primato del sistema pubblico su quello privato: deploro fortemente i tentativi più o meno espliciti, di cui sono stato testimone, di “secondarizzazione” dei conservatorî, a vantaggio di istituzioni non appartenenti e non gestite dallo Stato, e quindi, in ultima analisi, sottratte al controllo dei cittadini.

 

Strategia europea (e oltre)

Penso che ogni proposta normativa che verta a rendere più fluidi, agili, semplici e diretti il dialogo e l’interazione con i nostri partner europei potrà recare consistenti vantaggi non solo al riconoscimento di un “Sistema Europeo” visto come punto di riferimento dell’eccellenza nella formazione musicale dal resto del mondo, ma anche al completo raggiungimento dello status di Alta formazione (e quindi, di conseguenza, al riconoscimento giuridico e finanziario del livello universitario) dei docenti dei conservatorî italiani. È ovvio che compiere quest’ultimo passo non spetterà al Cnam, ma è altrettanto necessario, a mio avviso, che si verifichino le condizioni di cui sopra perché tale passo risulti alla fine inevitabile, nel quadro di un’armonizzazione vieppiù completa dell’Alta Formazione in Europa. 

Per raggiungere tale fine ritengo tra l’altro che sarebbe auspicabile il centralizzare alcuni uffici di relazioni con l’estero delle nostre Istituzioni (ad esempio, in regioni ove esista un alto numero di conservatorî, sarebbe importante istituire un ufficio centrale che assuma figure professionali esterne dotate di una formazione specifica volta ad interagire con l’Europa, al fine di approfittare delle molteplici possibilità soprattutto finanziarie che essa mette a disposizione di progetti formulati con accuratezza e intelligenza). 

Sarebbe anche molto importante avallare e facilitare l’istituzione dei cosiddetti “joint degrees” già ampiamente praticati in molte università europee, ovvero diplomi rilasciati da un “pool” di tre o quattro istituzioni di Alta Cultura (tra cui vi potrà essere un conservatorio italiano) situate ognuna in un Paese diverso; cosicché lo studente che si iscriva, ad esempio, ad un master di secondo livello, possa frequentare ognuno dei quattro semestri in un’istituzione diversa, traendo vantaggio dalle eccellenze che ivi si trovino. 

Questo genere di percorso, oltre a risultare altamente appetibile e qualificante per i migliori studenti stranieri, porterebbe anche un indotto di notevole visibilità e prestigio ad alcuni dei nostri conservatorî siti in piccole città, i quali invece spesso, pur annoverando eccellenze tra i loro docenti, non godono all’estero della visibilità che meriterebbero. 

Non ultimo, tenendo presente quanta parte degli studenti di un’università provenga da lontano, e quindi abbia bisogno di trovare strutture ricettive adeguate alle proprie esigenze, sarà importante affrontare la questione (del resto prevista nel regolamento che presiede alla fondazione del Cnam) di come le istituzioni possano dotarsi di (o attuare convenzioni con) strutture ricettive, in grado di garantire agli studenti la possibilità di studiare e vivere confortevolmente. (La difficoltà nel trovare spazî confortevoli per studiare tutto il tempo che serve è uno dei problemi più frequentemente segnalati dai nostri studenti.)   

È logico inoltre che il completamento del percorso della riforma debba comprendere anche la piena attuazione del terzo livello; e quindi i dottorati di ricerca dovranno diventare una prassi comune, la cui definizione e accesso dovranno essere chiariti nella maniera più esauriente e agevole da regolamenti appositi. È importante, in questo campo, notare che, laddove i dottorati di indirizzo musicologico sono una prassi invalsa nel mondo universitario, nei conservatorî sarebbe fondamentale allargarne l’ambito anche a prassi esecutive e di produzione artistica (intendendo per quest’ultima l’attività concertistica, di registrazione e produzione multimediale, etc.).

 

A proposito dei regolamenti didattici

Il delicato lavoro di supervisione, verifica e indirizzo nell’inquadramento dei piani di studi nelle ben note “griglie” predisposte dai dipartimenti, di concerto con i consigli accademici e sulla falsariga delle indicazioni ministeriali, corre su un sottile crinale; su un versante vi è l’esigenza di autonomia delle singole istituzioni, mentre dall’altra parte vi è l’altrettanto necessaria armonizzazione tra loro dei singoli conservatorî, e, possibilmente, tra questi ultimi e le istituzioni straniere di pari grado. (Esigenza questa che mi è stata spesso fatta notare dei nostri studenti, che hanno trovato difficoltà nel trasferirsi da un’istituzione all’altra.) 

Allo stesso tempo, credo sia sotto gli occhi di tutti come la Riforma, accanto a molti innegabili vantaggi, abbia portato ad una certa frammentazione dell’insegnamento (conseguenza probabilmente inevitabile del sistema a “moduli” comprendente i crediti formativi e settori disciplinari ben distinti tra loro). Questo confligge non poco con la vera natura dell’insegnamento musicale, in cui non esistono compartimenti stagni ma invece ogni disciplina, teorica o pratica, dovrebbe integrarsi con le altre il più possibile, al fine di promuovere una crescita armonica e di ampie vedute delle competenze pratiche e delle prospettive culturali degli studenti. 

Inoltre, la situazione presente comporta il problema che gli studenti, presi come sono tra una moltitudine di corsi spezzettati, ognuno dei quali con tempi e orarî difficilmente modificabili, spesso non trovino il tempo per dedicarsi allo studio pratico, che invece dovrebbe rappresentare il centro della loro esperienza formativa.

Anche qui occorreranno molta saggezza e attenzione nell’affrontare questo genere di problemi; non ultimo, facendo tesoro dell’esperienza che la recente pandemia ci ha trasmesso; non trascurando cioè i vantaggi che la didattica distanza, per alcune discipline teoriche, potrebbe comportare.

Rifletto spesso sul fatto che il nostro Paese ha illuminato il mondo di bellezza artistica e spiritualità grazie alle “botteghe” del Medioevo e del Rinascimento. Il loro contributo ha fatto dell’Italia un faro di cultura che risplende ancora al giorno d’oggi. Lì, nessun insegnamento era frammentato, ma la conoscenza veniva trasmessa a 360°, fluidamente, quasi per osmosi, attraverso l’esempio e la pratica svolta fianco a fianco dal docente e dal discente.  

Noi docenti dei conservatorî (assieme ai colleghi delle accademie) siamo gli ultimi eredi di quella tradizione di trasmettere il sapere e il fare. Siamo i depositarî di una pratica artistica e didattica grazie alla quale, l’italia è “vissuta di rendita” per secoli: ciò costituisce a mio avviso un punto di forza di straordinaria importanza, che va riconosciuto, fatto conoscere e difeso in maniera consapevole, integrandolo con intelligenza, flessibilità e senso pratico, senza preconcetti, nell’ordinamento universitario che la Riforma ci ha portato. 

Occorreranno molta finezza e conoscenza diretta della realtà dei conservatorî, vissuta in prima persona, per gestire il vantaggio che il nostro status di “università delle pratiche e dei saperi artistici” ci dà. 

 

Inoltre

è logico che, per esprimere al massimo il proprio ruolo di parte integrante dell’Alta Formazione europea, i conservatorî debbano rendere più efficaci e percorribili i canali attraverso cui gli studenti, italiani e stranieri, vi hanno accesso.

Per quanto si rivelerà essere nei poteri del Cnam,  sarà fondamentale attivarsi affinché il numero dei licei ad indirizzo musicale si moltiplichi, e affinché la loro interazione coi conservatorî sia sempre più intensa ed efficace (anche avvalendoci dell’esperienza di nostri studenti o laureati, come già in parte avviene. 

Per ogni informazione su di me rimando al mio sito.

Un cordiale saluto, e un auspicio che, qualunque candidato si scelga, non si perda l’occasione e il diritto di esprimere il proprio voto, onde conferire piena legittimità ad un organismo di fondamentale importanza qual è il Cnam.